La storia di un calciatore che ha vissuto alti e bassi nel mondo del calcio è sempre affascinante. Questo racconto ci porta a esplorare la vita di un protagonista che ha visto il suo viaggio nella passione e nel dramma dello sport dall’innocenza all’esperienza. Con momenti di difficoltà e di gloria, la narrazione è ricca di emozioni e colpi di scena che lasciano il lettore con la curiosità di scoprire come sia riuscito a superare le avversità.
Un tempo, ero solo un giovane ingenuo. Un “bambacione” come si dice. Iniziai la mia carriera con la leggerezza tipica della gioventù, ma ben presto mi ritrovai in mezzo a una storia oscura che mi toccò profondamente. In mezzo a quella tempesta, ci fu una figura che si distinse: il grande presidente Viola, che si dimostrò gentile e comprensivo, mentre gli altri erano spietati e senza pietà. Tornai a casa e la mia comunità, quella di Blera, era delusa; il peso della vergogna si stagliava sopra di me come un’ombra. Fu un vero inferno di mesi, ma in quel periodo davvero difficile, però, imparai a diventare uomo. Non mi fidai più di nessuno, la lezione era stata dura e netta. E poi, inaspettatamente, il telefono squillò.
Dall’altra parte c’era Luca Montezemolo. Era un momento cruciale, mi voleva la Juve, e con quella chiamata cominciai a vedere la luce dopo tanto buio. Tuttavia, anche se credevo che fosse un nuovo inizio, capitò l’impensabile: la Juve saltò per aria. Pensai che fosse finita ancora una volta. Ma Boniperti mantenne la parola e mi contattò direttamente per andare a Torino. “Peruzzi!”, disse, “capelli corti e vestiti civili! Tu pensa a giocare, il resto lo gestiamo noi.” In quel momento sentii un onore immenso.
La consacrazione e i successi
Arrivato alla Juventus, il mio viaggio era pronto all’ennesimo capitolo. E lì, la mia carriera prese il volo. Insieme al team, conquistai campionati, Champions League e coppe internazionali. Erano anni incredibili, una fase di grandi soddisfazioni e momenti che ricorderò sempre con piacere. Ma c’è da dire che il percorso per diventare il portiere migliore del mondo non è mai facile. Certo, si parla sempre di grandi nomi come Zenga e gli altri leggendari portieri, eppure la competizione era serrata. Spesso, ho visto altri parare con abilità che io nemmeno riuscivo a immaginare.
La crescita era continua e rimanere umile era fondamentale. Passai dalla Juventus all’Inter sotto la direzione di Lippi, ma le cose non andarono come sperato: Ronaldo il fenomeno e Vieri si infortunarono. Nonostante tutto, feci del mio meglio, ma la stagione risultò deludente da molti punti di vista. E come se non bastasse, una nuova chiamata stava per cambiare il corso della mia carriera: la Lazio.
Un nuovo inizio con la Lazio e le sfide venute dopo
Cragnotti mi contattò. La Lazio aveva appena vinto lo scudetto, e nonostante ci fossero trenta chilometri che mi separavano da Blera, il richiamo era troppo forte. Come avrei potuto mai dire di no? Era un’opportunità da non farsi sfuggire. E gli anni alla Lazio furono degli ottimi anni. Anche se successivamente la situazione si complicò con il fallimento del club e Lotito che si occupò di spalmare i contratti. Io però stavo bene. La serenità era tornata.
Ma il pubblico non era sempre tenero: i tifosi della Roma mi etichettavano come laziale e quelli della Lazio mi indicavano come romanista. Il dibattito sulla mia fedeltà calcistica era acceso, eppure io rimasi concentrato sul mio compito. Le sfide si susseguivano, ma la determinazione di fare bene era più forte di qualsiasi voce esterna.
Un ruolo chiave nel Mondiale 2006
E parlando di sfide, il mondo del calcio per me culminò con il Mondiale del 2006. Marcello Lippi scelse di affiancarmi a Buffon, un compito che si trasformò in un vero e proprio lavoro di squadra. Ma la mia vera ambizione era quella di giocare. Vinse l’Italia per due motivi. La rabbia generata dal nostro coinvolgimento nello scandalo di Calciopoli giocò un ruolo cruciale, così come il fatto che tutti, quelli che non giocavano o che avevano pochi minuti, davano il massimo durante gli allenamenti. Questo spirito di unità fu essenziale per il nostro successo.
E Calciopoli rimane un argomento delicato. Non ho intenzione di mettere in discussione le sentenze. Ricordo bene Moggi: tutti lo cercavano e volevano avvicinarsi a lui per avere consigli. Un personaggio complesso, che ha segnato profondamente quell’epoca.
Oggi e i sogni non realizzati
E adesso, chi è il portiere migliore? La risposta è semplice: ce ne sono tanti bravi. Ma mi fanno ridere le nuove tattiche, quel gioco dal basso. Dicono che sia utile per segnare, ma se qualcosa va storto? E che dire del nemico interno? La competizione è dura e le pressioni troppo forti.
Per quanto riguarda lo scudetto di quest’anno, non sono in grado di fare pronostici sicuri. Posso però dire che Antonio Conte ha una fede che lo spinge a fare la differenza ogni giorno. La sua mentalità è quella di un vincitore sempre pronto a combattere.
Le mie scelte? C’è stato un rimpianto. Capello mi voleva al Real Madrid, e ammetto che sarei voluto andare a vivere a Madrid. Ma alla fine lui rimase solo un anno. E così, la mia storia continua…