Cgil e Uil annunciano il quarto sciopero generale contro il governo Meloni, suscitando un acceso dibattito sulla verità dei dati occupazionali e su una crescente frattura all’interno del panorama sindacale italiano. La notizia di questo nuovo sciopero è già nell’aria, attesa e quasi scontata, nè più né meno come una tradizione recente che sembra non volere finire. Ma ci si chiede: quali saranno le conseguenze di questa mobilitazione? Scopriamo insieme i dettagli di questa situazione.
Il 29 novembre è la data scelta da Cgil e Uil per un forte sciopero generale di otto ore, il prossimo in ordine di tempo che va ad accodarsi al filone di mobilitazioni contro le manovre del governo Meloni. Già il 4 novembre, in un incontro a Palazzo Chigi, la premier Giorgia Meloni aveva convocato i sindacati per discutere della legge di Bilancio, ma Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri, i leader delle due organizzazioni, avevano come un assillo in mente: la domanda non era “se” ma “quando” sarebbe stato proclamato lo sciopero. Questo quarto sciopero generale di fila non è un caso isolato; il primo si era già svolto nel 2021 contro il governo Draghi e si può dire che lo sciopero sia diventato parte della prassi sindacale, anzi, una sorta di appuntamento che molti ormai aspettano.
Se da un lato c’è da registrare una certa continuità nelle mobilitazioni, dall’altro non si può ignorare che, nel frattempo, l’occupazione è aumentata. Infatti, nel periodo di riferimento, ben 2 milioni di lavoratori sono stati assunti, un dato davvero interessante soprattutto se si considera che la maggioranza di questi è a tempo indeterminato. Questa contraddizione tra i dati occupazionali e la narrativa che si sta creando è palpabile; e via via si fa necessaria una riflessione su cosa stia avvenendo realmente nel nostro mercato del lavoro.
Cgil e Uil, difatti, sembrano puntare su un’analisi che potrebbe sembrare superficiale. In un video di presentazione della loro mobilitazione, proiettano slide che affermano che l’80% dei “Rapporti di lavoro attivati” sono contratti “temporanei” mentre solo il 20% sarebbe “stabile”. È un’affermazione audace, quella che il segretario generale della Uil, Bombardieri, porta avanti asserendo che i dati dell’Inps chiariscono che il tipo di occupazione recente è “precaria”. Si fa dunque riferimento a dei contratti registrati che, apparentemente, andrebbero ad alimentare la tesi del lavoro instabile, sminuendo una crescita che pare, invece, indicare altri esiti.
In questa narrativa si nota una certa distorsione nei modi di presentare i dati, che si fa ogni giorno più evidente. La lettura limitata dei numeri non tiene conto, infatti, che ciò che viene considerato come nuovi report di lavoro attivati sono semplicemente una frazione del mercato, priva di definizioni più ampie che coinvolgano la reale condizione di stabilità occupazionale. Quello che è più decisivo è pensare a un approccio integrato per comprendere la situazione, eppure Cgil e Uil optano per un’analisi che corre il rischio di impoverire un dibattito complesso.
Un tema rilevante che emerge da queste mobilitazioni è il crescente divario tra i vari sindacati. Va sottolineato come oltre alla denuncia della precarietà del lavoro Cgil e Uil stiano chiedendo un significativo incremento della spesa pubblica. Non è solo una richiesta per aumentare i posti di lavoro, ma si chiede fondamentalmente di rimpinguare diverse aree, dalla sanità alle pensioni, ma tramite una serie di aumenti fiscali su imposte che non siano l’Irpef, come la tassa di successione e l’Ires, portando quest’ultima dal 24% al 29%. È chiaro che si tratta più di una proposta politica piuttosto che una semplice rivendicazione sindacale, e i segni di una rottura con il governo Meloni, e più in generale con la Cisl, sono sempre più evidenti.
Scendendo nello specifico, però, si nota anche un paradosso. Infatti, con il passato governo di Draghi si era già visto un tentativo concreto di abbattere il cuneo fiscale e aumentare i redditi per i lavoratori. Tuttavia, ogni volta che un passo sembrava essere stato fatto, la risposta delle sigle sindacali non si è fatta attendere e sembra che l’esito di tali tentativi sia stato addirittura ignorato, producendo un effetto di frustrazione nei vari incontri tra i sindacati e l’esecutivo. La ciclicità di questi scioperi genera non poco scompiglio nel panorama sindacale italiano, e i lavoratori si trovano ad essere letteralmente in balia delle dinamiche interne hub della Cgil e della Uil.
Con la proclamazione di questo quarto sciopero generale, la frattura tra i sindacati si fa sempre più profonda. Cgil e Uil, infatti, non hanno celato le loro critiche alla Cisl, che ha scelto di non aderire a questa mobilitazione. L’accusa mossa da Bombardieri e Landini è quella di una certa servilità nei confronti del governo, una posizione che, secondo loro, non rispecchierebbe gli interessi dei lavoratori. Dall’altro lato, Luigi Sbarra, segretario della Cisl, ha risposto affermando che è proprio la Cgil a muoversi come un’oppositore politico anziché mantenere i toni e l’agenda di un sindacalismo che dia priorità ai bisogni concreti del lavoro.
Questo clima di tensione interna crea un contesto incerto. Da un lato ci sono gli scioperi che si moltiplicano e dall’altro cresce la divisione tra i sindacati rappresentanti di un mondo lavorativo in continua evoluzione. Sarà interessante osservare come evolve la situazione e quali risposte otterrà questo nuovo fronte di protesta. Con il governo Meloni che rimane saldamente al suo posto il panorama politico e sindacale italiano sta vivendo una vera e propria tempesta. La mobilitazione lanciata è evidentemente un grido di allerta, ma dovrà affrontare le sfide di un’unità sindacale sempre più fragil.